D'Orazi Luca - Canessa, una famiglia di antiquari
Luca D'Orazi
CANESSA, UNA FAMIGLIA DI ANTIQUARI
Ed. 2018, f.to 17x24cm, pp. 80, ill.ni b/n.
Associazione Culturale Italia Numismatica
Collana di studi e ricerche: Nummus et Historia, XXXV.
PRESENTAZIONE
Siano i Forsyte raccontati da John Galsworthy all’inizio del Novecento – vi guadagnò un Premio Nobel – o i Cazalet della Elisabeth Jane Howard, il cui quinto volume è uscito in Italia nel 2017, il filo conduttore delle saghe familiari ha sempre rappresentato un itinerario vincente in letteratura. Pur avendo nel suo assieme indirizzo diverso, data la specificità degli interessi rivolti alla Musica e al Teatro, la mia biblioteca personale non trascura il genere: “La mia famiglia ed altri animali” (Gerard Durrel), “Pastorale Americana” (Philip Roth), “Cronache della famiglia Wapshot” (John Cheever) stanno accanto ai due titoli sopra citati, con La Saga dei Forsyte al posto d’onore in una edizione un po’ sbiadita nel rosso della rilegatura e nel fregio del dorso, conservata sin da giovane da mia madre e sua lettura prediletta. Ora inaspettatamente vi si aggiunge una storia familiare che mi appartiene, quella degli antiquari Canessa, tre straordinari fratelli – uno a nome Cesare era mio nonno – che hanno dominato tra l’Ottocento e il Novecento, fin quasi alla crisi mondiale del ’29 il mercato internazionale dell’arte con una ditta la “Canessa Antiquaires – Numismates” che aveva sede principale a Napoli (Piazza dei Martiri) ed altre due all’estero: Parigi (Avenue des Champs Elysées) e New York (Fifth Avenue). Della dimensione di una odierna Sotheby o di una Christie’s, insomma. Una saga entusiasmante, ricostruita da uno studioso che non conoscevo, Luca D’Orazi in maniera assolutamente lontana dalla forma narrativa, bensì del saggio storico attentamente annotato ed esaurientemente documentato pur se scritto con mano semplice e spigliata. Le circostanze della vita hanno portato i Canessa della mia generazione non soltanto lontano dal mestiere dei nonni, ma a una diaspora di affetti, verso legami nuovi, esperienze differenti. Mia madre e mio padre vivevano a Parigi quando il loro rapporto entrò in crisi e si separarono: io avevo tre anni e mio fratello Giuseppe era ancora nel grembo materno. La mamma tornò a Napoli dalla sua famiglia, all’interno della quale noi figli abbiamo vissuto infanzia, adolescenza e prima giovinezza. La stessa sensazione di lontananza avvertivano i nostri cugini, cresciuti in città diverse, oltre che per il salto di generazione, per motivi disparati di evoluzione di vita e di interesse dei loro genitori. Quanto a mio fratello ed a me, dei Canessa Antiquaires e di nostro padre, che lavorava al recupero dei cascami dell’azienda dissolta, passando da Parigi a Firenze e poi a Milano, abbiamo sempre saputo ben poco. L’argomento era tabù. Qualcosa ci arrivava di riflesso dai racconti che mamma faceva, per alimentare la mia nascente passione per la musica lirica, del tenore Caruso, molto legato ai Canessa, il cui figlio aveva sposato una sorella di nostro padre, Elena. Qualcosa però restava nel lessico familiare: “Aggiu truvato ‘nu porta babà” era frase ogni tanto pronunciata per indicare un imprevisto evento positivo. Anche noi ragazzi lo adoperavamo qualche volta per annunciare in famiglia un inaspettato buon voto ricevuto a scuola. Ce ne era stato raccontato l’origine, il ritrovamento del Tesoro di Boscoreale, oggi per buona parte al Louvre, il più sensazionale e lucroso affare condotto dai Canessa Antiquaires, originato dall’arrivo nella Galleria di Piazza dei Martiri a Napoli di un contadino che mostrava un vaso d’argento del Primo Secolo emerso durante gli scavi di un pozzo chiamandolo col termine dolciario “porta babà”. Ancora qualcosa appresi da un mio zio di Roma Ambrogio, il cui figlio Cesare avviato verso la professione antiquaria, cambiò subito strada e da mio padre, che cominciai a frequentare a Milano, città del mio primo lavoro, ove aveva casa, bottega antiquaria in centro e una propria, diversa famiglia. Negli anni a noi più vicini, ho trovato su qualche provvidenziale bancarella e comprato alcuni cataloghi di aste Canessa, compresa quella più tarda della collezione numismatica di Enrico Caruso, tenutasi nel 1923 due anni dopo la morte del tenore. E approfondito l’episodio del Tesoro di Boscoreale attraverso l’opera di Antonio Cirillo e Angelandrea Casale, edita nel 2004 e quella dell’attività anche di perito numismatico di mio nonno Cesare e d’arte antica di mio prozio Ettore, entrambi di prestigio internazionale, attraverso la tesi di laurea in Etruscologia di Geltrude Bizzarro conseguita nel 2007 di cui ebbi in dono copia. Un po’ di conoscenza credevo di averla col tempo acquisita, quando Luca D’Orazi ha cominciato a mandarmi l’opera sua in progress, capitolo dopo capitolo dandomi la sensazione sempre più definitiva che della Canessa story non sapevo assolutamente nulla. Ed oggi che è completa mi rendo conto di quanto essa superi la dimensione storiografica, pur così sapientemente espressa e documentata, per diventare un’autentica saga di modello letterario. Ci racconta di aste, di acquisti e di acquirenti, di viaggi per mare, di mostre e di gallerie di alta e omogenea eleganza, che siano a Napoli, Parigi o New York, che insieme ritraggono – come avviene nelle grandi pagine di narrativa – l’atmosfera di un’epoca fascinosa e lontana.
Francesco Canessa*
* Francesco Canessa è stato dal 1982 al 2001 Sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli, poi consulente della Presidenza del Senato nelle legislature XIV e XVI. Docente universitario, scrittore di libri e saggista, collabora con il quotidiano la Repubblica.