AA. VV. (a cura di Antonio Morello) - Il Barone ribelle. Pietro Giovan Paolo Cantelmo.
AA.VV. (a cura di Antonio Morello)
IL BARONE RIBELLE. Pietro Giovan Paolo Cantelmo, duca di Sora e Alvito.
Storia, documenti e monete.
ECCELLENTE
Ed. 2011, f.to 17x24cm., pp. 240, ill. colori.
Indice:
A. Morello, Presentazione.
V. Orlandi, Pietro Giovan Paolo Cantelmo, duca di Sora e Alvito
A. Giuliani, "Lu Duca de Sore" e le sue relazioni con le province degli Abruzzi
G. Barbieri, Corpus per la zecca di Sora e per quella di Alvito
P. Patini, Il banchetto di Pietro Giovan Paolo Cantelmo
L’interesse comune, mostrato dall’Associazione Culturale Italia Numismatica e dal centro di Studi Storici Saturnia di Atina, per Pietro Giovan Paolo Cantelmo duca di Sora e Alvito, deriva dal fatto che egli dominò, con alterne vicende, anche sulla Val Comino e che, durante il suo governo, fece coniare moneta a suo nome, in due distinti e distanti periodi, entrambi di notevole importanza per le sorti del Regno di Napoli. Il connubio tra queste due associazioni, ancora una volta, dimostra che, unendo le forze, si può avere la capacità di raggiungere dei risultati notevoli per la diffusione della cultura.
Pietro Giovan Paolo Cantelmo, durante la sua lunga esistenza, fu coinvolto nelle vicende storiche di rilievo della seconda metà del XV secolo. Gli storici contemporanei lo conoscevano bene e su tutti è rimasta celebre, efficace e suggestiva la definizione che di lui dette Giovanni Gioviano Pontano nel suo De bello Neapolitano. Il Pontano visse presso la corte aragonese e spesso seguiva il re durante i suoi spostamenti, per ragioni belliche o diplomatiche e fu presente quando Carlo VIII entrò a Napoli; probabilmente, in qualche occasione, potrebbe aver conosciuto di persona il nostro Cantelmo; questo non lo possiamo sapere ma, la testimonianza che ci ha lasciato, nella sua opera letteraria, è eloquente. Trattando di quella che è stata considerata la prima congiura dei baroni del 1459-1465, il Pontano, nel libro primo dell’opera citata, narra che molti signori e nobili si ribellarono al Re e tra essi nomina tra i primi e con un certo risalto, Pietro Giovan Paolo che chiama regolo del Regno di ugual grandezza e prossimo al duca di Sessa Marino Marzano Principe di Rossano, genero del Re Alfonso.
Il grande erudito napoletano era consapevole dell’importanza del territorio del ducato di Sora e delle potenzialità di chi lo amministrava in quel momento. All’apice del suo potere, il nostro Cantelmo, ebbe il controllo dei territori dell’alta Terra di Lavoro interna, a partire dal territorio di Arce, il sorano e la Val Comino, fino all’Abruzzo Citra. I territori Abruzzesi dove egli esercitava la signoria si estendevano lungo una vasta linea montana che, posta ad est dei suoi feudi laziali, correva da Riano, a nord di Sulmona, fino ad Alfedena, agli estremi confini meridionali della provincia, comprendendo siti come Prezza, Pettorano, Pescocostanzo e Rivisondoli: una sorta di linea di demarcazione o confine che, lungo l’Appennino, tagliava in due l’Abruzzo citeriore. In pratica, controllava tutte le vie di transito che da nord e dall’Adriatico centro-settentrionale portavano nel Regno, lungo parte del confine meridionale dello Stato della Chiesa. Le rocche sotto il suo dominio erano ben munite e posizionate in luoghi strategici; ad esempio: Sora era posta all’ingresso della Valle di Roveto, da sud verso nord, nonché l’alta valle del Liri e la parte settentrionale della Val di Comino; Alvito, la cui rocca era ubicata in una posizione quasi inaccessibile, guardava la Val Comino, vicina ai passi di Cancello, verso San Germano, e, tramite gli impervi, ma altrettanto rapidi, passi montani, verso il Molise e verso l’Abruzzo (Forca d’Acero).
Dell’importanza del duca e ducato di Sora era ben consapevole anche il Re di Napoli; Ferdinando d’Aragona dimostrò un atteggiamento tollerante e paziente verso di lui, utilizzando all’occorrenza sia il bastone che la carota. L’atteggiamento dell’Aragonese fu dovuto a vari fattori, tra questi la forte relazione che li legava grazie alla parentela da parte della moglie del Duca, che era la nipote della Regina e la figlia di uno dei più importanti e fedeli alleati, Francesco del Balzo duca d’Andria. Altro motivo valido era la consapevolezza da parte del Re che, se fosse riuscito a tirare il duca dalla sua parte, facendogli abbracciare la causa aragonese, avrebbe disorientato non poco i regnicoli filo-angioini.
Enea Silvio Piccolomini, che fu papa, tra il 1459 e il 1464, con il nome di Pio II, ebbe non pochi fastidi da parte delle masnade del duca di Sora che più volte sconfinò nello Stato della Chiesa. Il Papa non riuscì a domare il Cantelmo a causa del territorio quasi impervio in cui questo visse e nel quale si mosse agilmente ma, anche per i legami di parentela che il Duca ebbe con il Re di Napoli. Pio II, che lo vedeva come il fumo negli occhi, lo definì «fraudolento e nemico giurato della verità» (Commentarii, libro V, XXX) e «superbo e prepotente» (Commentarii, libro XII, I).
Il suo carattere esuberante lo portò addirittura a battere moneta a nome suo, durante la prima congiura dei baroni e, a distanza di più di 30 anni, a nome suo e di quella corrente che sosteneva, contro il Re di Napoli; moneta, in parte, utile a quel tempo per assoldare la sua masnada e per avere una minima autonomia economica.
Da sempre fu un fervente sostenitore della causa angiona, più per motivi di opportunità, considerato che Re Ferrante tentò, da subito, di sminuire il potere baronale e soprattutto il suo, avversando le pretese sul contado di Popoli.
Dopo la vittoria aragonese sul partito angioino il nostro Duca fu privato dei suoi titoli ma fu tollerata la sua presenza e ingerenza nella rocca di Alvito che, pare, non volle mai abbandonare così come sembra non abbandonò mai le speranze di riprendersi quanto gli fu tolto. La speranza di riprendere possesso delle sue terre non lo abbandonò mai, tanto è vero che, appena se ne mostrò anche una sola possibilità, non perse tempo a chiedere tale riconoscimento al Re. Nel febbraio del 1472 si recò personalmente a Napoli ricevendo l’ennesimo e ultimo rifiuto.
Non sembra essere rimasto coinvolto nella seconda congiura dei baroni (1485) ma fu costretto ad abbandonare Alvito, alla volta di Roma, nel 1487 perché forse incluso nella lista dei nobili che furono oggetto di persecuzione da parte di Alfonso Duca di Calabria. Di grande interesse è una lettera che suo figlio Sigismondo scrisse a Francesco Gonzaga, signore di Mantova, informandolo di questa circostanza.
Nel corso della sua intensa e, per l’epoca, lunga esistenza, da Caterina, ebbe tre figli maschi e tre femmine; di Alfonso, primogenito, si apprende che era conte di Ortona dei Marsi, poco prima della seconda congiura dei Baroni del 1485; Sigismondo e Ferrante furono validi uomini d’arme; l’ultimo, il più giovane, morì combattendo nel 1497, mentre Sigismondo visse prevalentemente a Ferrara, presso la corte estense, conquistando i vertici dei favori del Duca. Sigismondo, dopo la morte del padre, volle farsi chiamare Duca di Sora, il cui territorio reclamò più volte e che anche in occasione dell’impresa di Luigi XII di Francia tentò di riprendersi imbracciando le armi e combattendo in prima linea.
Alcuni storici insistono con il dire che il nostro Cantelmo, dopo le sconfitte subite, si fosse rifugiato in Francia perché perseguitato dagli Aragonesi. Tali affermazioni non trovano alcun fondamento nella documentazione dell’epoca. Tuttavia, dopo il soggiorno a Roma sopra accennato, nel 1490 troviamo Pietro Giovan Paolo a Ferrara; nel 1493, avendo il duca Ercole deciso di mandare il figlio Ferrante alla corte di Francia, incaricò Sigismondo Cantelmo di organizzare il viaggio e di accompagnare, con altri gentiluomini, il giovane principe. Ad Amboise, dove giunsero il 3 dicembre, furono ricevuti dal re e dalla regina. In un altro colloquio Sigismondo Cantelmo parlò al re, che preparava la sua discesa in Italia, della situazione del Regno di Napoli e dei feudi che i suoi vi avevano perduto. Carlo VIII disse che accettava i Cantelmo nel numero dei suoi buoni e leali servitori e che confortava Pietro Giovan Paolo a seguitare le trame intraprese, delle quali egli era informato. Può essere verosimile che il nostro Cantelmo abbia fatto parte del corteo organizzato da Sigismondo e con questo sia stato ricevuto a colloquio da Carlo VIII essendo egli più idoneo del figlio, che oramai viveva a Ferrara da tempo, a ragguagliare il Re di Francia della situazione in cui versava il Regno di Napoli.
Presso la famiglia Cantelmo erano esponenti della letteratura dell’epoca. In particolare si ricorda che in casa di Giovanni, a Popoli, fratello di Pietro Giovan Paolo, esisteva una biblioteca fornitissima come si evince dall’inventario dei beni che furono confiscati a Rostaino, figlio di Giovanni e Conte di Popoli, da Alfonso II. Presso Pietro Giovan Paolo prestò servizio il celebre umanista e scrittore italiano Mario Equicola; secondo lo storico Domenico Santoro egli sarebbe stato figlio illegittimo del Cantelmo ma, il duraturo legame con la sua famiglia, era dovuto probabilmente al luogo di origine e dall’intelligenza dell’uomo che seppe conquistarsi le attenzioni del suo Signore. Equicola seguì Pietro Giovan Paolo a Roma, quando era ancora diciassettenne, poi a Ferrara presso Sigismondo; scese con i Cantelmo di nuovo ad Alvito, a seguito dell’impresa di Carlo VIII. Partecipò alla battaglia di Atella (9 luglio 1496), ricordata nella Chronica de Mantua, e fu presente alla caduta di Sora nelle mani del re Federico; in questa occasione, barricatosi nella rocca sulle alture della Città (San Casto) resistette caparbiamente; non bastarono le lettere di Pietro Giovan Paolo che lo invitavano alla resa, dovette recarsi di persona Sigismondo Cantelmo per “farne resa”. Il figlio più giovane del vecchio Duca di Sora, Ferrante, si riconciliò con il re e prestò servizio militare presso l’esercito del Regno; Equicola lo seguì; nel giugno del 1497 fece parte del corteo che accompagnava Isabella del Balzo a Barletta ad incontrare il marito Federico d’Aragona. Rimase a Napoli, dove proseguì gli studi. Ferrante Cantelmo morì combattendo a Diano nel dicembre del 1497 e l’Equicola fece ritorno a Ferrara assumendo il ruolo di segretario di Margherita Maloselli, moglie di Sigismondo; divenne poi precettore di Isabella d’Este e fu amico dell’Ariosto e dei maggiori eruditi dell’epoca.
L’ultima dimora del Cantelmo fu Alvito, espugnata solo dal forte esercito comandato da Consalvo di Cordoba “il Gran Capitano”. Qui Pietro Giovan Paolo Cantelmo si sentì sicuro già al tempo della prima congiura dei baroni e lo stesso accadde con la discesa di Carlo VIII; era da qui che governava e qui, come proposto anche da Gionata Barbieri, in questo libro, coniò la copiosa serie di monete recante il suo nome e quello del re di Francia.
I risultati delle ricerche contenute in questa ‘raccolta’ hanno impegnato ciascuno dei ricercatori, in particolare, per il proprio ambito di interesse. Vincenzo Orlandi ha profuso le sue energie per redigere un profilo biografico più completo possibile, trovandosi ad affrontare un argomento alquanto ostile a causa delle fonti sparse presso gli archivi e delle notizie disseminate nei libri scritti dagli eruditi del ‘500 e del ‘600; se da un lato hanno facilitato la ricerca dall’altro è stato necessario verificare molte informazioni in essi contenute, confrontandole con le fonti coeve; ciò ha portato a rettificare e approfondire molte informazioni e fare luce su alcuni avvenimenti, portando a concludere una ricerca interessante e da considerarsi la più completa svolta fino ad ora.
Achille Giuliani ha rintracciato, per questa occasione, un documento interessante, conservato presso l’Archivio di Stato dell’Aquila. La pubblicazione integrale, con la firma del Nostro, è molto suggestiva. Esso fu compilato con una grafia che ci porta indietro nel tempo in un periodo (1496) in cui nelle terre dell’Abruzzo e del ducato di Sora ancora si sperava del ritorno di Carlo VIII, dove leggiamo dei rapporti tra le amministrazioni locali per questioni di diritti di pascolo, in un momento bellico del tutto evidente. Il documento viene discusso e interpretato alla luce del momento storico in cui venne scritto.
Nello spirito collaborativo che caratterizza le nostre realtà culturali, non poteva mancare un contributo di Patrizia Patini, tra l’altro presidente dell’Associazione Enograstronomica ‘Le Cannardizie’ di Atina, che ha voluto illustrare nel dettaglio un aspetto della vita quotidiana alla corte del Cantelmo, immaginando, con competenza e conoscenza, come poteva essere un banchetto organizzato in casa del Duca. Tale opportunità è stata possibile grazie alla conoscenza dei luoghi e delle risorse enogastronomiche, la cui competenza in materia, da parte di Patrizia, è indiscutibile, dalla documentazione dell’epoca della corte napoletana, che tanto influenzava le corti dei baroni del Regno, e dall’attenta lettura e interpretazione della celebre descrizione del banchetto offerto dal papa Sisto IV ad Eleonora d’Aragona, in occasione della sosta a Roma durante il suo viaggio, da Napoli a Ferrara, per le nozze con il duca Ercole d’Este. Il tutto ha fornito a Patrizia Patini gli elementi per portare a conoscenza del lettore un importante aspetto della vita quotidiana dell’epoca.
Gionata Barbieri con il saggio intitolato Corpus per la zecca di Sora e per quella di Alvito, affronta uno studio meticoloso delle emissioni monetarie del duca Pietro Giovan Paolo Cantelmo. Il testo è composto di più paragrafi, ciascuno dei quali evidenzia aspetti o fenomeni ritenuti salienti per una comprensione approfondita della tematica.
Il Corpus inizia con un breve ragguaglio storico sul protagonista e sulle vicende cardini dell’epoca, passando poi ad una descrizione minuziosa del contesto monetario, delle relazioni di valore e di cambio, dei ritrovamenti e degli scenari di circolazione dei flussi di moneta, focalizzando l’attenzione sui nominali effettivamente coniati dal Cantelmo, ossia i bolognini (in argento) ed i cavalli (in rame), e rapportando questi tipi ai vari nummi che funsero da modelli di ispirazione.
In seguito a ciò, Barbieri sviscera il simbolismo, l’iconografia e le iscrizioni che caratterizzano il monetato di Pietro Giovan Paolo Cantelmo, proponendo una prima suddivisione tipologica dei nominali ed una spiegazione sulle ragioni di interpretazione dei lati delle monete, quali dritto e rovescio. L’Autore giunge, poi, all’analisi dettagliata di tutte le serie di bolognini e di cavalli coniati, individuando ben 19 accoppiamenti diversi dritto-rovescio per i bolognini (contro i 12 individuati nel famoso CNI XVIII), e 67 differenti serie di cavalli tra monete regolari e riconiate (contro le 37 serie descritte nel CNI XVIII). Sono poi presenti delle tabelle metrologiche, associando agli esemplari di ciascuna serie riscontrata, le misure di diametro e massa, ed accompagnando il tutto con numerosi indicatori e diagrammi statistici, atti a valutare le dispersioni di peso e di diametro delle monete oggetto dello studio. Seguono poi le tavole fotografiche.
Gionata Barbieri prende poi in considerazione la precedente letteratura sul tema, produce vari approfondimenti con il valido supporto di documenti e fornisce una possibile cronologia ristretta delle emissioni. Dopo una corposa bibliografia, è presente un’appendice documentale.
Il lavoro si configura sicuramente come un corpus che può servire da riferimento per la materia, e mai prima dello studio di Barbieri venivano analizzati tutti gli aspetti, anche quelli più reconditi, concernenti la produzione monetale del duca Pietro Giovan Paolo Cantelmo, che ben si sposa con le nozioni storico-culturali presenti nell’edizione di questo volume.
Senza dubbio l’aspetto più significativo del testo di Gionata Barbieri, è la ricerca dell’attribuzione di zecca delle monete del Cantelmo, che, almeno per i cavalli, costituiscono secolare dibattito tra i numismatici. A fronte, infatti, della precedente letteratura che assegnava i bolognini alla zecca di Sora, ed i cavalli o alla sola zecca sorana, o suddividendoli nell’attribuzione in parte alla zecca di Sora ed altra parte ad Alvito, ivi si mette in discussione l’intero impianto precedente sulle zecche dei cavalli del Cantelmo, pur tuttavia continuando ad attribuire i bolognini alla zecca di Sora. Barbieri, basandosi su precise ed inequivocabili informazioni e documentazioni d’epoca, “ad incastro” rispetto alle altre trattazioni del nostro volume, individua come esclusivo luogo di battitura dei cavalli del Cantelmo la zecca di Alvito. Le serie monetali, allora, alla luce di questa nuova attribuzione, assumono un significato diverso, giungendo a motivare la sintassi e la semantica di alcune forme di legenda ritenute fino ad ora “errate” (il noto caso di …SO ALB… ed …ALB SO… per i cavalli).
Conscio dello sforzo analitico operato dall’autore, questo saggio contiene tutto ciò che è possibile poter scrivere sulle zecche di Sora ed Alvito, e tenendo ben presente che solo nuovi reperimenti di documenti, in particolare carte ufficiali di zecca, possano eventualmente permetterci di conoscere di più.
Prezzo: €25,00
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